Come mi è nata questa preghiera? Stavo recitando il salmo 126, che celebra il ritorno di Israele in patria dalla schiavitù di Babilonia: un salmo pieno di gioia e di speranza. Ma io pensavo al mio tempo, alla nostra storia recente e attuale, alla cronaca nera del mondo: del Vietnam, di Nixon, di questi mercanti di stati e industriali della morte; pensavo al Brasile, all'Angola, al Mozambico; pensavo ai feddayn e a Israele... No, non ci siamo! quale gioia e quale speranza? quale liberazione? No, l'attuale Israele non ha nulla a che fare con l'antico. Prima pregano e poi ammazzano. Ma forse non è neanche vero che pregano. Adesso si capisce che veramente Cristo non poteva essere che ucciso. E mentre recitavo quel salmo non potevo fingere. La storia è quella che è. Allora ho pensato all'Esodo. Non c'è liberazione dell'uomo, di nessuno, se non come fatto religioso. O è Dio che libera o non c'è libertà. La libertà è Dio stesso, essa è il valore assoluto. Così ho scritto in «Servitium» (n. 22, 1972): nessuna ideologia ha mai liberato l'uomo, le ideologie hanno segnato appena delle successioni; lo stesso concetto di rivoluzione in nome di una ideologia, è un assurdo. Il superamento di una ideologia vuol dire avvento di un'altra ideologia; le ideologie creano sempre organismi di potere e quindi diventano, a loro volta, strumenti di oppressione. Così l'uomo, in nome della ideologia, è sempre dominato dall'uomo...
Questo deve essere stato il dramma anche di Mose prima dell'esperienza del roveto ardente. Prima, anche Mose ha ammazzato un uomo. Qualunque educazione si abbia, qualunque cultura, da sola, non è mai liberatrice. Mose dalla corte del Faraone fu costretto a fuggire nel deserto e dovette giungere alla scoperta di Dio prima di diventare un vero liberatore…
Il deserto è il luogo di confronto con gli assoluti. La via di liberazione non può passare che per il deserto. Prima devi bruciare dentro di te e superare tutti gli interrogativi umani, salire il monte di Dio, cioè trovare una soluzione che spazi oltre te stesso e oltre le cose. Giù, indietro, rimane il Faraone con tutta la sua mole, che schiaccia perfino i suoi sostenitori; giù rimane la potenza, il sistema che è sempre immensamente più grande di te. E giù, nella pianura, geme il popolo che non è neppure popolo, ma appena magma umano.
«E l'Angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco che non si consumava.» Così il roveto della libertà non si spegnerà più. E perciò l'Esodo sarà il libro di tutti e di sempre. Oltre che una realtà, esso è una perenne profezia. Solo la voce che parla da quel roveto è voce di liberazione. Il nome del Dio dell'Esodo è «colui che libera». E solo quando Mose ritorna dai fratelli, nella forza di quel nome, sarà un vero liberatore.
Ma tutti i nostri Mose di oggi si chiamano Dayan e per di più hanno un occhio solo: mancano precisamente dell'occhio della fede. E allora mi sono messo a cantare così: non mi restava altro da fare.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)