A LEOPARDI, ANIMA MIA

03/03/2025

Perché a Leopardi queste confidenze? Oltre agli accenni interni al discorso, come il suo idillio sul colle da dove sentiva la contemplazione quale dolce naufragare (e quindi poesia come salvezza), io mi chiedevo: per noi che resta? e che infinito ci salva? o almeno, quale la nostra possibilità di canto e di ascolto? E oltre il ricordo della sera del dì di festa, quale  sera per noi e quale festa? e cioè, in cosa crediamo ancora?
    Strano questo discorso di fede, proprio riferito o, almeno, occasionato da Leopardi. A questo punto le cose si complicano davvero. Proprio Leopardi diceva che c'è della gente che si accontenta del mondo come appare (e questi sono coloro che si danno ai commerci) e c'è della gente cui non bastano le «apparenze», ma cercano il mistero del mondo. Precisamente lo spirito di festa che ci manca! Mi riferisco a un senso biblico preciso, da cui ho paura che siamo esclusi come per maledizione; perciò ho ricordato le terribili parole rivelate: «oh, non entrerete nel mio riposo!».
     Oltre tutto questo, volevo dire che il poeta che più sento oggi (ma forse sempre) è proprio Leopardi: lui come voce umana, lui come condanna assoluta, voce senza scampo, così disperata e lucida: «ché triste è la mia vita». Direi questa nostra vita, questa nostra storia. E va sempre peggio.
      Ecco, per questo, Leopardi; e, se volete, i salmi ora dolci ora violenti del mio omonimo David... E sappiate che ora sono disperato e ora no; almeno umanamente disperato. E posso dirvi perfino che è proprio la fede (la mia fede di cui sono geloso) a farmi sentire così drammatico questo vivere, questo non-vivere, questo falso vivere, ecc. ecc.
                                  (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)
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