Giacobbe rimase solo; ora, un uomo
lottò con lui fino allo spuntar
dell'alba. E vedendo die non poteva
vincere Giacobbe, lo colpi nella
giuntura delia coscia... Allora
quell'angelo gli disse: «Lasciami
andare che spunta l'aurora». Ma Giacobbe
rispose: «Non ti lascerò finché non
mi avrai benedetto'.».
(Gen 32, 25-27)
Quando il tempo mi assassina
e la gente è un assalto
e senza pietà riversa
in questa cisterna screpolata
(mio cuore!)
lacrime e dubbi e pensieri
come vipere,
allora io canto.
Quando il giorno non ha speranze
e la notte è un duello solo
che si protrae nei bagliori dell'alba:
in attesa di conoscere almeno il nome
allora io canto:
«Non ti lascerò andare
perché è spuntata l'aurora,
o essere notturno:
un segno almeno
di benedizione
avanti che raccolga le ossa ferite
e riprenda a camminare...»
Quando non so dove andare
e come sarà l'incontro col fratello;
quando Egli scompare
nell'intrico dei vichi in urlo
e tu alle ore cinque della sera
sei risospinto indietro
dalla fiumana
a Oxford Street,
allora mi faccio in disparte
come un mendicante
e riprendo a cantare.
E canto canto canto
o bel sole, non so perché...
E se il cielo è una lastra di ghiaccio
e le chiese tanti deserti
e il pontefice amarezza e delusione
e gli amici tutti lontani
e la notte di nuovo alle porte
e tu sei di ritorno al convento
con le mani vuote,
allora attendo che dal sagrato
almeno un fanciullo mi sorrida
e poi inosservato
mi chiudo in cella
e canto.
Canto come mi piace,
a gesti,
anche senza voce e senza note,
ma canto.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)