Ancora mali,
antichi mali, moltitudine
di mali in nera grandine
sul capo degli uomini la Sorte
rovescia, Antigone.
E tu dalla vasta pianura
protesa e alta nel libare
dalla bella anfora bronzea,
in mezzo ai cadaveri,
ora irreale e superflua.
Chi muore è sempre vinto
per noi, e chi vive
non ha sensi né tempo
a venerar la pietà.
Non più fratelli, il sangue
nostro non vale a tessere
neppure incesti:
femmina è questa civiltà
che ha pura «essenza»
nelle vene e mammelle
le sono ricchezza e dominio.
Questo non è tempo
di coscienze libere
questo è tempo
di tirannide assassina:
nemmeno un pio eroe
nell'intero occidente;
e fanciulle dal Vietnam,
pur esse come te
non ancora morte non più vive:
invece che da rocciosa tomba
gemono in gabbie di tigre
il loro pianto inutile,
mentre morti infiniti
galleggiano sui fiumi;
e morti coprono i deserti
e ancora morti stipano carlinghe
dei mostri volanti,
e i vivi attendono di morire
già dilaniate le carni
dagli stellati Avvoltoi:
fanciulle che sopravvivono
per triste prodigio
sfigurate da uno che mangia
il dolce pane di Cristo
nel gioco di invertite leggi.
Questo è tempo
di religioni mute come lapidi,
di chiese impaurite!
Almeno tornassero gl'iddii
sublimi e orrendi
a dare accenti di tragedia
a queste cronache nere
che lo stesso Destino rifiuta.
È dunque il cielo su noi
chiuso per sempre?
Impotente è anche la morte
a por fine alla catastrofe?
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)