Antifona
Vergine o natura sacra,
piena di bellezza
tu sei l'isola della speranza.
Rorate Coeli
Vergine Madre della grazia
stendi ancora il tuo velo
ai campi devastati;
sola terra intatta,
ritorna a partorire subito
e sempre, in mezzo al grano
al limite dissacrato delle selve.
Vergine, o festa di nozze,
grembo carico del Dio
gridato dalle pietre e pianto
dalla fonte al costato della montagna
sotto la violata luna,
vieni e partorisci lì nella tana
del serpe dal ventre gonfio.
Vergine, che fasci il globo
con bende di luce, nuvola
di fuoco nel cielo diaccio,
o di ristoro e profumo all’arsura
gialla dell’estate, ritorna
e partorisci subito e ovunque
il Signore della vita.
Ingemiscit Natura
Piangono le vigne ai piedi degli olmi
in un groviglio di edera e sterpi,
i meli incurvano sotto favi di vermi
il fico matura bacche di veleno
l’ulivo è irto di spini acutissimi,
il platano è cadavere sulla ghiaia
che pare una dentiera al torrente
senza speranza di acque;
e gli agnelli, tutto un belato
per i prati a succhiare invano
le mammelle aride alle madri.
Vergine, se tu riappari
i fiumi rispargeranno letizia
da mare a mare e le stagioni
riprenderanno il corso
e più non romperà le dighe il mare.
I fanciulli sorrideranno ancora
e noi, inevitabilmente colpevoli,
non piangeremo d’esser nati.
Tempo dei sette sigilli
II pane si è fatto di sasso
mentre lo portavano alla bocca;
e le case divenute prigioni
e la ragione un lucido delirio.
Vergine, fanciulla giovane
madre, se tu non riappari
anche Dio sarà triste
e non avrà più delizie
a stare coi figli degli uomini,
né s’aprirà uno spiraglio all’arca
dopo questi ininterrotti diluvii.
Per sette e sette anni ha rovesciato
il cielo cateratte
d’acque e grandine e fuoco;
per sette e sette anni
una furia sola di gelo e sassi.
Oh, quanti son morti, quanti
cadevano schiacciati per le strade
e nessuno poteva ritornare indietro
a prendersi un mantello,
a salutare sua madre.
E dopo, ancora sette e sette
anni d’arsura succedevano
lentamente e senza pietà.
Le città non davano più ombra
gli alberi eran schiomati e calvi,
non avevano più ombra;
nessun riparo nelle braccia delle madri!
non facevano più ombra
neppure i veli degli altari.
Il sole ci pendeva con infinite spade
a strapiombo sul capo
giorno e notte, e tutte le case
erano di viva calce bianca.
Vergine, radice e pianta sempre verde,
colomba dello spirito nuovo,
trasvola ancora sulle acque
in cerca di un nido fra le rocce:
e cesseranno le acque di devastare la terra.
Stendi le tue ali al sole:
e cesserà la bufera del sole
a disseccarci ragione e sensi.
Arca vera dell’alleanza
tra uomo e natura, ritorna!
Caravella che porti il Signore
sotto la vela bianca,
regina e amante e madre,
Egli torni
fanciullo
a giocare...
Andrai — così ti preghiamo —
per l’Europa e l’Asia a deporre
— avanti che la paura nuovamente
distrugga le capitali maledette —
il tuo frutto dietro le alte mura.
Volerai tra guglia e guglia
intorno alle cupole,
entrerai dalle ogive delle chiese
e dietro le selve dei grattacieli,
nel cuore della reggia e in mezzo alla steppa:
emigrerai pellegrina e subito
e ovunque partorirai tuo figlio
gioia e unità delle cose,
o eterna Madre.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)