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Il pianto degli amici
Noi ti abbiamo solo accusato.
Sempre vigili a trovare una colpa per gli altri
una scusa per noi: sempre certi
che Egli pensa coi nostri pensieri,
operando secondo i nostri disegni.
Noi la misura, lo scrigno del vero.
E sempre solleciti, in consunte parole,
a liberarci dall’angosciosa paura.
Pronti a dire: Egli sarebbe ingiusto
se nostro fosse il tuo caso.
Invece tu solo a salvezza ci provi
che nulla è perduto.
Oggi splende la tua gioia celeste
anche se la nostra pianura ancora risuona
all’eco del tuo disperato cantare.
Non importa sapere che l tuo destino
è solo allusione al plenilunio di Cristo,
un’immagine della fine inevitabile;
non importa sapere il tempo
dei cieli nuovi e delle terre nuove:
questa ormai è la Sorte dell’uomo divino.
Ora le quattordicimila pecore e capre e i seimila
cammelli e diecimila paia di buoi e le mille asine
appena un segno sono dell’abbondanza futura,
di ricchezze non calcolate: Paradiso non ha cifre,
non beni elencabili in parole moribonde.
Importa invece sapere che ancora
generasti sette figli e tre figlie:
non di morte fu l’approdo di Giobbe.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)