Ma questa non è una casa
e non giardino, questo, o riviera;
e ora non è sera né mattino
e non un muro quel recinto
né sensi le mie dita immense
e le orecchie vigili su tutto il mare.
Raggi obliqui feriscono onde
trafiggono la siepe come a Francesco
le stimmate del Serafino.
Zittiscono gli uccelli all’improvviso
e sopra gli alberi si accendono angeli a stelle
di sotto acacie e tigli impazzano
in spirali acutissime di profumi
e salgono dalle valli le ombre a capo chino
escono dalle case dai viottoli dalle strade
in processione opposta al moto della vita.
Il tuo corpo e la torre camminano verso il sole
ma le ombre sempre più lontano vanno
verso la notte. Pure la Chiesa è divisa:
la cupola tutto splendore, un favo di colori
e la base invece una montagna di pietra.
Questa non è una casa: un sogno proibito,
una nave che veleggia nel cielo
in convegno di magie equoree e lunari;
un tempio d’orchidee e di magnolie
e di cipressi e di agavi abbracciati
in derisione crudele agli occhi del giorno.
Tu credi che la luce sia luce.
È invece lievissima neve
pagliuzze d’oro e lana finissima
che fascia le ferite della terra
e vela, nei suoi amori, il mare.
È il mare, il grande mare, l’inquieto
seno e matrice d’ogni vita.
E la luna che si adagia sul mare
e il sole poi, nel giorno, ad ardere
su tutte le pietre e le selve nate dal mare.
Tu credi ficodindia il ficodindia
invece è carne dannata in tormenti
di millenni. E l’ulivo è uguale
al corpo dei beati o ad anime purganti
che vogliono sanare le ferite di peccato
con l’olio dolce e il sangue di Cristo…
Tu credi ai suoni. O parole,
vani fiori dell’anima mia!
Amate parole umili e caste,
prostrate a terra, ancelle
annichilite sul pavimento del tempio
mentre il pontefice è rapito nella nube,
e Iddio, il sommo Iddio incombe in silenzio
ma su altri raggi obliqui e musiche
inaudite e alto silenzio e ombre.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)