1
Ma ora che i miei genitori son morti,
ora che mio padre e mia madre sanno
ogni cosa di me, non posso più oltre
tacere le parole che per loro
pudore fingevo non mie. Attendevo
quel giorno, lo contavo sul mio
almanacco, come, fanciullo, la festa
della venuta di Dio. Così
attendevo d'imparentarmi alla Morte.
Era il mio cuore nella lunga attesa
un campo di battaglia seminato
a bandiere, come il suo passo
avanzava; ma erano sempre case
di amici e vicini visitate. Ora,
ora invece, pure la casa nostra
è invasa dal vuoto immane. Il nostro orto
abbandonato (mia madre non più
curva a cogliere la ruta; ora
diritta, orizzontale, immensa
di sotto due metri di terra),
e il cortile e il campo, l'unico campo
tenuto a giardino da mio padre.
Ora Morte è venuta. Ghirlandata
come una sposa. Ed io la coltivo
quale mia creatura, la cullo al grande
letto delle mie memorie, l'abbevero
del mio sangue, divenuta alfine
e padre e madre ed amica, ed è lei
ora ad attendere di farsi me stesso.
Oh, la lunga pazienza della Morte!
lo li avrei portati sulle braccia
come due colombi alla nuova
colombaia, forse a primavera o forse
d'estate ché sentissero il caldo
della Morte. Invece lei, più giovane,
d'autunno; ed egli, più maturo, d'inverno.
Avanti la sposa, più confidente;
dietro, l'uomo, che ha più cose
d'abbandonare. A lei è bastato un soffio
di vento: non aveva più corpo; a lui
invece la vita sostenne guerra
fino all'ultimo istante. E il sangue
intorno scalpitava, ed il respiro
era d'eroe, e conquistò la Morte.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)