Litania del deportato

10/01/2022

Non più un verso ampio e disteso
come il primo volo di falco
sopra la pianura dell'infanzia;
non più un canto fermo
nell' estasi delle sere.
Tutto è franato nell' orgia necessaria.
La coscienza m'ha dato un nome,
spogliato come un albero
dopo la tempesta, dall'incanto
di sentirmi libero.
Gli uomini mi hanno appeso il piastrino
che brilla, nella marcia,
sulla giacca grigia.
Siamo creature incatenate
entro un paese di pietre
e di strade senza cielo!
 
Siamo sassi della creazione.
Dio, più non chiedermi d'essere
verticale. Ora diverso è l'urto
dei Tuoi venti; non regge
il mio peso insopportabile d'uomo
alla Tua aggressività inesausta.
Così, abbattuto, eviterò lo schianto
che Tu vai preparandomi:
non vale cercare più il rischio
che non abbiamo scelto.
Abbia, dunque, il Tuo volere
compimento pieno ― la Tua
creazione violenta! ― e passa
sul nostro sudore di sangue;
e l'attrito non abbia più cifra.
 
Nessuno più rompa la rotondità
della sfera. Più non sarò
la punta che Ti fa sanguinare.
Non chiedermi della Tua legge.
Una pena sola ora per la pianta
divelta, per la pietra lavata
dal fiume e per me stesso.
Attendo che l'uragano abbia fine,
come la quercia
che l'ultima radice si franga.
Mandami, Signore, la morte,
o Amore, non chiedere più nulla.
 
                           (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)
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