Andiamo di primo mattino
usciamo dalla notte
lavate le mani e il cuore
e sul volto riflessa la gloria
della sua Schekinah!
Andiamo senza turbare
la luce che sorge e il canto
degli uccelli lungo la via.
Andiamo col passo del Pellegrino,
nel sacco appena un tozzo di pane
che inzupperemo all'acqua di fonte
sull'altipiano: la necessaria
eucarestia di Natura
avanti di assiderci a sera
per l'ultima Cena.
E come usavano gli antichi oranti
dal «Tetto del mondo», ognuno
appenda al proprio bastone
il velo della sua sospirata preghiera
e il vento la porti
nella direzione che vuole.
Andiamo leggeri, prodigiosa-
mente leggeri,
per non offender la terra,
e nulla alteri il ritmo
del misurato respiro.
E con l'alito appena
a bolle di luce diciamo
«Gesù, figlio di Dio» —
«abbi pietà di noi» —
perché tutta la terra
sia irrorata dalla
infinita pietà.
Tutte le ferite fasciate
sozzure e immondizie
bruciate nella Gehenna,
colmate
tutte le solitudini.
O anche senza a nulla pensare,
lasciare libero Iddio
che usi grazia
come a Lui piace:
poiché noi non sappiamo,
non sappiamo!
È già grazia
essere amati, e più ancora
lasciarsi amare; e scendere
al centro del cuore
e portare la veste nuziale
e tornare all'innocenza primeva,
tornare ad essere in pace.
Ricondurre la mente
al centro del cuore dove
finalmente celebrare l'incontro:
poiché là Egli innalza
a sua preferita dimora
a tenda dei suoi ozi,
per i giochi d'amore.
E fare del corpo
il castello
delle nozze!
Amen.
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)