Nuovo troglodite di prossime
città-caverne, ora
abitatore di condomini
dalle dispense piene di scatolame,
e altro scatolame recando
di ritorno dal delirio del Super-
Market: ecco, il figlio
assisosi appena alla mensa ti schifa,
e tu più schifato ancora a buttargli
in faccia il suo ingrato animo
in rissa col globo intero.
No, più nessuno soccorre
neppure un lembo di memoria
di quanto era buono il pane,
e l'acqua appena attinta
dal pozzo fondo ad estinguere
la grande arsura
di ritorno dai campi;
0 il vino da te pigiato, allora
dall'odorosa botte
tutto in profumo.
Dico del sapore del pane
0 della polenta d'oro che a sera
di un solo profumo empiva il paese,
Del pane fatto con le tue mani
dico di spighe sgranite sull'aia
trainata l'asta dal mite bue
a mietitura compiuta avanti
la festa di Pietro e Paolo. E tu
poi a dividerlo croccante,
in parti uguali, per i figli;
e la sposa pur essa bronzea di sole
e di vento a rendere grazie al cielo.
Te dico, a sera, le mani nodose
lucenti di luna, o grande
artefice della terra:
così anche Iddio di sue mani
plasmava l'argilla di Adamo
e guardava
e sorrideva...
Ma Fantasia più non giova:
moriremo, moriremo di noia
noi dell'Occidente.
Tutti sempre più automi:
noi senza più ruolo
(non uno che sappia che fare).
E gli altri, per inedia, senza
desideri. Ma il «Grande Folle»
provvederà...
(da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)