NON A TE, MADRE

01/09/2025

I
Non a te, madre, o dolcissima
ombra che ovunque m'insegui,
imputo questa avvilente
inabitudine ad esistere.
 
È degli altri l'abbandonarsi facile,
il saper cogliere occasioni
e godere:
e saper godere!...
 
Né mia è la speranza di mutare,
o che almeno un compenso ci sia
a tanta condanna.
 
Altri pure di te,
adulterando la santa Immagine
issata alla Colonna
o affranta sotto il grande Legno,
altri con i loro sermoni allucinanti
della Passione che mai finiva
e della morte di Lui
che allora empiva e campi e case
alla Pasqua di avverarsi:
 
altri, essi i colpevoli, quanti
del Cristo prima
e poi della tua vita
hanno fatto una sola rovina.
 
Ora tuo figlio
più a te crede
c continua il tuo pianto
per la povera gente:
anch'essa senza Pasqua.
 
Era la Pasqua
il solo giorno bianco
della tua vita e della mia infanzia,
alba vanamente attesa
che segnasse una tregua
al tuo ininterrotto piangere,
al quotidiano offrirti
in consumazione
per i figli!
 
II
No, madre, non sono per me
queste spiagge né altre,
pure invocate a piena voce:
spiagge desiose di accoglierti
in onde di velluto
e di sole e di colori:
 
un mare in fioritura d'amori
gioia della vita quale
dev'essere stato ogni porto
prenatale, là
dove inconscio vivevi
la tua prima vita
cosmica.
 
Ora infiniti pavesi di gente,
di giovani e fanciulle in festa
fanno corona all'austera isola,
a tutte le rive del continente,
alle rive di tutti i continenti,
a rompere l'assedio
dell'infuocata estate
mentre tu dal bastione
fingi di leggere
Il nome della rosa.
 
III
È il ritorno delle moltitudini
alle dolci acque materne,
al grembo della vita!
 
Gioia a me data
solo nel sogno.
 
A me che mai m'immersi
neppur fanciullo
in nessun fiume,
nemmeno nel fiume mio
così povero d'acque
eppure stupendo
nel vasto letto di sassi
e di sterpi sotto la montagna; là
un dolce golfo, una cuna
di verdissima acqua
mi avrebbe accolto:
 
madre, era destino...
 
IV
Gioia sempre ho cercato
di donare senza misura
agli amici, alla gente:
persuaso che credere
è una festa.
 
Ma sempre additavo una fonte
cui mai
mi era dato di bere:
come ora che canto al mare.
 
Poi me ne andavo
con il mio cuore
cavo.
 
Così mi è stato impossibile
da sempre il dono
che giorno dopo giorno
Natura e Grazia mi offrivano:
forse per la fame
sofferta da fanciullo,
seme e contagio di altra
fame che nulla mai
riesce a placare:
 
l'impaziente e rovinosa
e famelica fame
infinita: mio Dio...

                          (da “O SENSI MIEI… POESIE 1948-1988”)
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